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Accuse a Blizzard: cosa sta succedendo?

Accuse a Blizzard: cosa sta succedendo?

Questa settimana l’industria videoludica è stata scossa dagli avvenimenti che hanno riguardato Activision Blizzard e il mondo sta continuando a seguire la vicenda con il fiato sospeso. Per chi invece non sa che cosa stia succedendo a Blizzard, il seguente è un riassunto delle puntate precedenti.

Il 21 luglio, il Department of Fair Employement and Housing (DFEH) dello stato della California ha fatto causa alla software house di Irvine a seguito di un’investigazione durata quasi due anni. All’interno del documento, che potete leggere per intero in lingua inglese a questo indirizzo, ci sono accuse di discriminazioni contro le donne, gravi casi di molestie sessuali e differenze salariali e nelle promozioni a posizioni lavorative nell’azienda. Sono centinaia le testimonianze di sviluppatrici ed ex-sviluppatrici di Activision Blizzard, con racconti ed esperienze agghiaccianti che possono sinceramente turbare. Secondo quanto riferito dal Dipartimento dello stato della California, le donne a Blizzard hanno subito e subiscono “costanti molestie sessuali, inclusi palpeggiamenti, commenti e avance”.

L’azienda si trova, quindi, in una delle più grandi crisi culturali e aziendali della sua storia, vedendo negli ultimi anni gravi problemi gestionali, licenziamenti e progetti fallimentari come descritto in un report pubblicato da Jason Schreier sul fantomatico caso di Warcraft 3: Reforged. Il caso descritto dal DFEH lascia attoniti e senza parole, ma si tratta, purtroppo, di argomenti già ampiamente noti all’industria nel suo complesso.

L’intero settore videoludico è pervaso da misoginia, mascolinità tossica e cosiddetta “bro culture” (chiamata anche “Frat Boy”), una cultura derivata dalle confraternite universitarie americane e che risulta molto presente nelle aziende che si occupano di tecnologia. Se ricordate bene anche all’interno di Amazon Games si erano verificate simili vicende, oltre a problemi manageriali e di sviluppo. Ma è possibile citare, giusto per fornire un quadro più completo, anche gli esempi di Riot Games e di Ubisoft, che hanno visto i medesimi casi di molestie sessuali nei confronti delle sviluppatrici e delle impiegate dell’azienda. Queste tipologie di comportamenti sono, quindi, sistemici e riguardano l’industria nel suo insieme.

Dopo la pubblicazione della causa, sono diverse le voci della dirigenza e dell’ex-dirigenza che si sono espresse sulle accuse. L’ex presidente di Blizzard Mike Morhaime ha scritto su Twitter parlando a “tutte le donne di Blizzard” e dichiarando di essere “tremendamente dispiaciuto di averle deluse”. “Vi ascolto, vi credo e sono dispiaciuto di avervi deluso”, ha scritto nel messaggio.

La portavoce Frances Townsend, invece, ha inviato un’email allo staff di Activision nella quale dichiara che il rapporto del DFEH “presenta un’immagine distorta e non vera della compagnia”, includendo “storie vecchie” e “fuori contesto”. Dopo le scioccanti parole di Townsend c’è stata un’azione collettiva da parte degli sviluppatori di Activision Blizzard, coinvolgendo anche la sussidiaria King, firmando una lettera aperta nella quale venivano aspramente criticate le parole usate dalla portavoce, in quanto queste contribuivano a creare “un ambiente nel quale le vittime vengono screditate”.

All’interno della lettera, al momento firmata da più di 2000 impiegati e sviluppatori, viene inoltre scritto che “queste dichiarazioni rendono chiaro il fatto che la nostra dirigenza non vede i nostri [degli sviluppatori] valori come prioritari”, chiedendo alla portavoce Frances Townsend di lasciare il posto come Sponsor Esecutiva dell’ABK Employee Women’s Network.

 

activision Blizzard

Bing Guan/Bloomberg via Getty Images

A seguito di questi avvenimenti, nella giornata di ieri, 28 luglio, impiegati e sviluppatori di Activision Blizzard si sono ritrovati davanti ai cancelli del Campus Blizzard a Irvine per protestare ufficialmente contro le condizioni di lavoro, chiedendo a gran voce un cambiamento e un miglioramento dell’ambiente lavorativo, in particolare per le donne afroamericane e di colore, donne transgender, persone non-binarie e altri gruppi marginalizzati.

La marcia di protesta ha invaso soprattutto gli spazi virtuali, lanciando l’hashtag #ActiBlizzWalkout, con il quale moltissimi fan di lunga data e altri sviluppatori di altre compagnie hanno potuto esprimere il proprio supporto alla manifestazione. La risposta da parte dell’azienda, al momento, ha poco mordente: i dirigenti intendono intraprendere cambiamenti interni, ma cominceranno con il rimuovere contenuti, personaggi e commenti ritenuti inappropriati all’interno di World of Warcraft, anche nella versione Classic. Inoltre lo studio ha dichiarato di aver già svolto l’anno scorso un’indagine interna e di aver licenziato l’ex senior director di WoW Alex Afrasiabi, accusato da diverse donne della compagnia all’interno del documento del DFEH in cui si parlava della sua “Cosby Suite”, argomento approfondito ulteriormente in un report di Kotaku.

Quanto sta accadendo in queste settimane non è nient’altro che il segno di una profonda necessità di cambiamento culturale all’interno dell’industria videoludica. Un’industria giovane, ma piagata da comportamenti sessisti, misogini e tossici ormai diventati sistemici, difficili da combattere a meno che non vi sia terreno fertile per un cambiamento radicale. Uno dei valori fondanti di Blizzard, in fondo, è “Every Voice Matters” ovvero “Ogni voce conta”, un valore che da diversi anni a questa parte sembra aver perso molto del suo valore: il caso Blitzchung ne è un esempio lampante.

Sarà interessante continuare a seguire gli sviluppi della causa e delle proteste, sperando che l’esempio dei lavoratori di Blizzard influenzerà e darà la forza anche ad altri sviluppatori per cambiare le condizioni di lavoro in favore di un ambiente più sicuro, ospitale e produttivo.

Qui di seguito potete leggere il tweet in cui gli sviluppatori di World of Warcraft annunciano la volontà di rimuovere dall’MMO “allusioni, riferimenti e personaggi ritenuti inappropriati”.

 

Fonte 1, Fonte 2, Fonte 3, Fonte 4, Fonte 5

 

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