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Brain in the Box dichiara fallimento, interrotto lo sviluppo di Voodoo

Brain in the Box dichiara fallimento, interrotto lo sviluppo di Voodoo

Nelle scorse ore ci è giunto un aggiornamento riguardo alla situazione di Voodoo, MMO survival open world ambientato nell’Africa tribale sviluppato dal team indipendente italiano Brain in the Box.

Sostanzialmente la software house torinese ha dichiarato fallimento e ha interrotto lo sviluppo di Voodoo. Il publisher Indiegala ha quindi affidato il gioco a un altro team di sviluppo, i 34BigThings (responsabili dell’ottimo Redout). Il titolo è stato ribattezzato TITANS: Dawn of Tribes, tuttora disponibile in Early Access su Steam a 9,99€.

Tuttavia, ad agitare le acque sono gli sviluppatori originali, che sul blog ufficiale di Brain in the Box hanno deciso di raccontare la loro versione dei fatti sullo sviluppo di Voodoo e su tutti i problemi che il team ha dovuto affrontare.

Gli sviluppatori ammettono di non essere riusciti a concretizzare la visione del gioco a causa di una mancanza di esperienza, di organizzazione e di fondi. Sebbene il gioco fosse stato finanziato con successo a fine 2016 grazie a una campagna di crowdfunding su Kickstarter, infatti, gli 85mila euro richiesti si sono rivelati troppi pochi per le ambizioni del progetto. I fondi se ne sono andati velocemente tra tasse, bollette e spese varie, causando la rottura tra team di sviluppo e publisher, che ha iniziato a ritardare i pagamenti e infine, pare, ad annullarli del tutto.

Dal canto loro i developer ammettono candidamente che Voodoo era il loro primo gioco, e che sviluppare un prodotto così grosso è molto più difficile che immaginarlo: insomma, lo studio aveva largamente sopravvalutato le proprie competenze e capacità prima di mettersi al lavoro, e questo ha portato anche a frequenti frizioni e litigi interni.

In aggiunta, dopo che gli sviluppatori hanno dichiarato il fallimento di Brain in the Box, il publisher ha fatto loro causa chiedendo un rimborso “per i danni subiti”, rimborso che i gli ex-soci stanno ancora pagando.

Vi riportiamo di seguito il post pubblicato dal team, ricordandovi che quanto scritto di seguito corrisponde alla versione degli sviluppatori: non si tratta quindi di una visione imparziale sulla vicenda. L’articolo è comunque interessante perchè mostra chiaramente quanto sia dura e difficile la realtà dello sviluppo indipendente di videogiochi in Italia.

Si può discutere molto su chi abbia più responsabilità nel fallimento del progetto: gli sviluppatori, il publisher o forse entrambi. Ognuno può tirare le proprie conclusioni dopo essersi informato.

Rimane però il fatto che, se si è un team di persone senza esperienza nel game development, buttarsi su un MMORPG survival probabilmente non è la scelta più saggia.

 

Abbiamo deciso di raccontarvi la nostra storia per chiarire e spiegarvi meglio cos’è successo durante questi due anni di sviluppo.
Ci teniamo a sottolineare che il nostro intento non è quello di discolparci per quanto è successo, semplicemente intendiamo far sapere ai nostri pochi fans (e magari avvertire qualche neofita del mondo dei videogiochi indipendenti) che il nostro percorso non è stato affatto una passeggiata.

Probabilmente molti di voi avranno pensato che siamo spariti dopo esserci intascati un bel po’ di denaro o chissà cos’altro. Tuttavia la realtà dei fatti è ben diversa, ma andiamo per punti:

I – Partiamo dal fatto che per tutti i membri di Brain in the Box Voodoo è stato il primo videogioco sviluppato e per la maggior parte addirittura la prima esperienza di lavoro. Come molti di voi sapranno non si può pensare di entrare nel mondo dello sviluppo videoludico con un progetto complesso come un “survival open world in terza persona con multiplayer persistente”. Probabilmente è la collezione di features più difficile da implementare in assoluto, dalla programmazione alla modellazione fino all’animazione. Siamo sicuri che qualche piccolo genio probabilmente ce l’avrà fatta al primo colpo, ma in Brain in the Box non c’erano nè geni nè luminari del gaming, solo giovani ragazzi con una gran voglia di fare un videogioco.

II – La nostra inesperienza non si è limitata certo alle questioni tecniche dello sviluppo: quando abbiamo intrapreso la ricerca di un publisher abbiamo commesso un errore dopo l’altro.
Vuoi per la fretta di avere dei fondi (qualora non ne foste a conoscenza il team esisteva già da tempo, con continui cambi di personale in quanto si è trattato sempre di un lavoro non pagato), vuoi per la modestia ed il sapere di non essere nessuno, abbiamo decisamente puntato basso al momento della richiesta del finanziamento per lo sviluppo di un progetto di così grandi vedute, per l’esattezza 85.000€ IVA esclusa.
Un altro fatto immensamente rilevante è stato la totale assenza di competenze amministrative di una vera società SRL da parte dei responsabili. Se poi al minestrone aggiungiamo la figura di un capo senza alcuna esperienza pregressa, particolare abilità imprenditoriale o almeno capacità inerenti allo sviluppo videoludico il disastro è servito.

III – Il rapporto con il nostro publisher è iniziato nel peggiore dei modi: così come era la nostra prima esperienza in questo settore, rappresentava un esordio anche per lui e la sua società: in quel momento noi eravamo il secondo titolo che editavano ufficialmente e il primo così grande.
Si sono evidenziate numerose incomprensioni sin da subito, derivanti da incompetenze presentate da entrambe le parti; vi basti pensare che la roadmap di sviluppo che abbiamo presentato (evidentemente già mal calcolata) non è stata mai davvero presa in considerazione, dopo un solo mese è stata accantonata e lo sviluppo del gioco è stato costretto a cambiare in conseguenza di ogni contatto tra publisher e team. La situazione cui si potrebbe esemplificativamente fare riferimento è quella di un architetto che va ad aggiungere i piani ogni volta che i muratori ne finiscono uno, in assenza di un progetto definitivo da seguire, potete immaginare i risultati.
Inoltre abbiamo compreso presto che, per quanto potessimo essere bravi nel nostro lavoro, eravamo comunque totalmente inesperti e questo ha scatenato numerose ostilità (che sarebbero poi durate per la totalità della collaborazione); ormai era stato firmato un contratto e il timore di aver solo perso denaro per il nostro publisher era forte.
Nonostante gli inizi nefasti e le incomprensioni siamo riusciti comunque ad andare avanti, senza però poter contare sul supporto adeguato che ci aspettavamo, che oltre al finanziamento economico si limitò all’impegno, da parte del publisher, a:

– Creare di una pagina dedicata a Voodoo sul sito web della sua società;
– Creare una decina di post riguardanti Voodoo sui social network della sua società nell’arco di tutta la collaborazione (post che, nonostante il gran numero di like, avevano un seguito minore delle nostre pagine);
– Inviare chiavi di gioco gratuite a mailing list assolutamente o quasi inutili (se non in rarissimi casi);
– Portare Voodoo alla Gamescom di Colonia (dandogli un piccolo spazio e per breve tempo);
– Assegnarci una persona “addetta alla campagna Kickstarter” che si è occupata dei testi e della gestione dei commenti social, durante nemmeno tutta la durata dello sviluppo (le ultime settimane scomparve lasciando la gestione della campagna in mano nostra);
– Pubblicare Voodoo su Steam;
– Aprire per un tempo limitato dei server di gioco in seguito al lancio.

La pubblicità, la gestione delle testate videoludiche, la condivisione di materiale promozionale e tutto quello che riguarda la comunicazione è sempre stato affar nostro, ovviamente con non pochi problemi, in quanto seguire il marketing di un prodotto e al contempo svilupparlo ha complicato molto le cose.
Senza contare le varie fiere a cui abbiamo partecipato completamente a spese nostre, così come il mantenimento dei server di gioco durante tutto lo sviluppo e la pre-alpha.

IV – Quando abbiamo iniziato a capire che i fondi sarebbero ben presto finiti e che non ci sarebbe mai stata fatta realmente pubblicità, abbiamo deciso di intraprendere una campagna su Kickstarter, confidando di poterla vincere.
Dopo molte titubanze e numerosi mesi di attesa, finalmente il nostro publisher ha assecondato la nostra iniziativa, incaricando una persona del suo team di organizzare e gestire l’intera campagna.
La lista dei rewards (che mai avremmo potuto materialmente produrre con i nostri fondi) è stata decisa osservando le altre campagne e poi promessa con troppa leggerezza a potenziali backers.
Colui che organizzava la nostra campagna ha promesso ricompense del calibro di un video documentario dello sviluppo di Voodoo, viaggi turistici negli studi e altre cose irrealizzabili, se non pagando cifre sicuramente più elevate dei guadagni.
Ci siamo occupati noi della parte grafica, delle riprese dei vari video, ecc. Perdendo più di un mese di sviluppo. Alla fine abbiamo vinto la campagna per il rotto della cuffia, consapevoli che la maggior parte dei finanziamenti sono arrivati da amici e parenti, in tutto circa 32.000€.
Molti di voi hanno pensato che questa cifra fosse entrata nelle casse di Brain in the Box, ma in realtà gli intestatari della campagna, purtroppo, non eravamo noi. Il denaro è arrivato al nostro publisher e lì è rimasto.
Sostanzialmente i nostri amici e le nostre famiglie oltre a tutti gli altri nostri sostenitori hanno regalato direttamente soldi al nostro publisher, che non li ha poi utilizzati per la produzione dei rewards, ma per iniziare a rientrare del finanziamento elargito.
Noi intanto abbiamo aperto la pre-alpha su Steam che da allora è stato costantemente aggiornata fino al lancio ufficiale, in pratica durante quel periodo i giocatori che avevano ricevuto una chiave o l’avevano ottenuta sostenendo la campagna Kickstarter hanno avuto l’unica vera esperienza di gioco in Voodoo, che tra l’altro ha riscosso molto gradimento.
Quindi se doveste leggere che in merito alla campagna Kickstarter “team precedenti non hanno mantenuto le promesse”, chiedetevi pure a che team si fa riferimento.
Per fortuna, seppur con molto ritardo, i backers che successivamente hanno chiesto il rimborso sono riusciti ad ottenerlo.

V – Il termine della campagna Kickstarter ha segnato l’inizio della fine. Il contratto con il nostro publisher è diventato solo più un pezzo di carta: i pagamenti pattuiti a scadenza mensile arrivavano in ritardo o in base alle features implementate e la rata mensile ci è stata dimezzata per poter allungare il tempo di sviluppo, che in origine sarebbe dovuto terminare a gennaio 2017. Questo com’era prevedibile, non ha rappresentato una soluzione, ma anzi ha reso impossibile il sostenimento delle spese, pur tagliando gli stipendi dell’intero team.
La deadline di Voodoo slittava ogni mese a una data più lontana nel calendario e i soldi sono diventati l’argomento di discussione principale dello studio. Siamo passati dal guadagnare molto poco a rimborsarci quasi solo il viaggio per andare a lavoro e per non perdere i nostri collaboratori siamo stati costretti ad indebitarci personalmente con la banca.
Purtroppo la situazione economica disastrosa e la luce in fondo al tunnel sempre più lontana, ha fatto si che gli attriti all’interno del team, soprattutto tra i soci, diventassero insopportabili, deteriorando l’andamento dello sviluppo e portando a un gran numero di assenze in studio.
Intorno a maggio ci siamo resi conto che eravamo vicini al fallimento e dopo varie trattative col publisher siamo riusciti ad ottenere l’uscita in early access su Steam per metà giugno, con la speranza che le vendite, seppur poche, potessero risollevare la situazione.

VI – Il giorno del lancio è stato un disastro. Il nostro publisher non ha mai ritenuto necessario fornire tester per il gioco multiplayer che stava finanziando e quindi ci siamo trovati per la prima volta con più di 30 utenti attivi contemporaneamente su un server. Abbiamo riscontrato così problemi che non avevamo mai potuto testare prima e ci sono voluti giorni per garantire quanto meno la stabilità del gioco.
Il miglioramento delle condizioni all’interno dello studio che tanto si sperava non è mai arrivato: il team, ormai ridotto a qualche persona attiva sul progetto, ha passato gli ultimi tre mesi di vita senza percepire alcun compenso. Solo successivamente il publisher ha pagato alcune fatture extra, a titolo personale anziché alla società, per un valore di circa 4.000€. Tuttavia alla fine, consapevole della situazione disastrosa, ha interrotto ogni forma di supporto ed ha utilizzato tutti i guadagni provenienti dalle vendite per rientrare del finanziamento.

VII – Era finita. Dopo molti solleciti da parte del nostro publisher e i continui litigi all’interno del team non ci rimaneva che trattare la cessione delle quote di Voodoo che ci appartenevano (il 40%) e chiudere la società.
Il valore nominale delle nostre quote in base al finanziamento era di circa 40.000€, ma noi abbiamo chiesti solamente 13.000€, ovvero quanto bastava per ripagare il debito residuo alla banca (senza contare le restanti spese che avremmo comunque affrontato da soli).  Inizialmente la cifra è stata accettata senza indugi, ma la nostra debolezza era ormai chiara e l’amministratore unico di Brain in the Box si è lasciato successivamente convincere a vendere il progetto costato anni di fatica e sacrifici per una quindicina di persone, per 1€ + IVA.

Quando però anche noi altri soci abbiamo scoperto cosa stava accadendo ci siamo determinati invece ad optare per la dichiarazione di fallimento: era l’unico modo per non accollarsi un debito in quel momento insopportabile.Tuttavia quando la cosa è stata riferita al nostro publisher, lui, avendo la consapevolezza che, così facendo, avrebbe perso le nostre quote di Voodoo (che sarebbero andate all’asta giudiziaria) ha fatto quello che ogni buon imprenditore sa di dover fare nel momento del bisogno: ci ha fatto causa.
A breve intervallo dalla comunicazione al publisher riguardante il proposito di dichiararare fallimento, ci è pervenuta una lettera dallo studio legale dei nostri finanziatori:

voodoo Brain in the Box

Insomma ci è stato chiesto di rimborsare il publisher “per i danni subiti” con la cifra che equivaleva esattamente al valore nominale delle nostre quote.
Nonostante le accuse false, come l’incolparci di aver smesso di lavorare, non abbiamo potuto far nulla. Non eravamo sicuramente in grado di sostenere una causa, anzi, non eravamo nemmeno uniti nelle decisioni o come soci: circostanze delle quali il publisher era evidentemente a conoscenza.
Siamo stati costretti a riproporre noi stessi la cessione gratuita (o vendita simulata che dir si voglia) di Voodoo, che ovviamente è stata accettata.

Quindi ecco qual è stato il guadagno effettivo della nostra impresa: 85.000€ di finanziamento datoci dal publisher svanito in tasse, bollette, spese su spese e uno stipendio iniziale di 500€ al mese andato via via a scendere fino a nulla.
Abbiamo guadagnato un debito che stiamo ancora pagando ed, in conclusione, regalato il nostro lavoro.
Quindi a tutti quelli che pensano ce la siamo spassata: ecco che cos’è stato per noi fare un videogioco in Italia.

Il nostro ex publisher adesso collabora con un altro team, che ha totalmente cestinato Voodoo nonostante la nostra disponibilità ad aiutare a continuare il progetto dov’era stato lasciato, creando un nuovo titolo ad esso ispirato che non ha più nulla a che fare con il nostro concept iniziale.
È avvilente vedere anni di lavoro cancellati senza poter far nulla, anni di fatiche e sacrifici buttati via come spazzatura.
Ci dispiace molto che la community che abbiamo costruito con tanta fatica adesso si senta tradita, non possiamo far altro che sperare insieme a loro in un miglioramento sostanziale del progetto.

Essere Brain in the Box non ha sicuramente giovato al conto in banca di nessuno di noi, tuttavia ci ha insegnato molto, sotto un’immensità di punti di vista.
Speriamo raccontandovi questa storia affinché possa insegnare qualcosa anche a voi, che smaniate per entrare in questo mondo fantastico che è fare videogiochi.

Fonte

 

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