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Una vita a questare – Speciale

Una vita a questare – Speciale

La vita è fatta di quest.
Non ce ne accorgiamo perchè non esiste (ancora) un sistema di quest journal automaticamente aggiornato che fa comparire e annota esplicitamente le situazioni che dobbiamo di momento in momento risolvere, ma è indubbio che, dal comprare il latte e buttare la spazzatura al realizzare un lavoro di successo e costruirsi una famiglia e uno spazio nel mondo, la vita si sviluppa attraverso una serie di obiettivi che devono essere via via completati.

Ma la quest “vera” è anche un topos letterario tipico del Basso Medioevo. Il personaggio del cavaliere errante, preso in considerazione da così tanti giochi quasi sempre nella veste di protagonista/PG, compie imprese dai tempi del ciclo Bretone-Arturiano, alla ricerca del Sacro Graal o per la salvezza di un’amata.

Questa prima idea di quest nei videogiochi si è sempre più stratificata verso un concetto di “avventura”, cioè, di fatto, l’obiettivo è sin dall’inizio del gioco solo uno e si dipana attraverso una serie di eventi. La quest principale, l’impresa più grande che viene offerta dallo sviluppatore al giocatore, è spesso sovrapponibile in toto con la trama del gioco, che la segue e tramite essa è narrata e portata a compimento.

La seconda categoria, invece, si può rinvenire nell’idea tipica di side-quest, o quest secondaria. Poichè il personaggio giocante non è certo un uomo qualsiasi, anche le sue “quest della vita quotidiana” devono essere rapportate ad un’esistenza di avventura e pericolo: l’acquisto del latte può essere metaforicamente riportato al tipico “uccidi 10 lupi”; lo sposalizio può ricondursi ad una delle tante romance che oggi vengono proposte, nei GDR prima ed oggi pure negli MMO (viene in mente a tal proposito l’ibrido Star Wars: The Old Republic).

Elwynn forest quest lupi

Alzi la mano chi non ha mai ammazzato 10 lupi ad Elwynn Forest, in World of Warcraft.

In ogni caso questa concezione doppia di quest, per quanto sulla carta rispecchi la realtà e le sue sfaccettature di diversa importanza, mostra ormai i segni degli anni e si presentano taluni problemi non secondari che vanno analizzati.

In un qualsiasi RPG, massivo o meno, le quest secondarie svolgono il compito di aumentare il potere del personaggio giocante nell’ottica di rendergli più facile la vita nella quest principale, attraverso esperienza o oggetti: in una parola, attraverso il reward. In molti MMO, è obbligatorio completarne un buon numero perchè la naturale progressione spinge in zone di pericolo maggiore che non possono essere accedute se non dopo aver acquisito una certa forza, e spesso basarsi esclusivamente sul completamento della quest principale non basta per acquisirne a sufficienza.

Diversi motivi, tra cui una ricerca quasi ossessiva della longevità di un prodotto, una questione economica che favorisce le microtransazioni con bonus all’esperienza e un generale intorpidimento da parte degli sviluppatori (che fanno senza innovare) e dei consumatori (che giocano senza domandare) hanno mantenuto le quest più o meno uguali dalla loro origine, salva giusto qualche miglioria nella quality of life più legata al gameplay di un titolo che alle innovazioni lato-quest (mi riferisco, ad esempio, all’odierna giusta moda di mettere un’uscita dal dungeon in prossimità della sua conclusione, per evitare il fenomeno del backtracking, o al tipico indicatore sulla mappa che indica dove recarsi per completare la missione, per finire con meccanismi più o meno incentivati di ricerca del gruppo automatica).

 

Perchè il male trionfi…

L’archetipale “raccogli 20 pelli” è diventata la tipica impresa secondaria che viene compiuta fino allo sfinimento dal giocatore, che in questo caso non ha più nulla di eroico e paradossalmente si sente ancora più annoiato e in gabbia di quanto si sentirebbe se il suo obiettivo fosse quello di andare a comprare il latte o buttare la spazzatura. La scollatura narrativa è ancora più evidente se si pensa a tutte quelle eventualità in cui il poveretto che chiede al protagonista di risolvere i suoi problemi si trova a due passi dagli stessi problemi che dovrebbe risolvere, tanto che ci si chiede come mai non li ammazzi lui, quei lupi, o perchè non colga lui stesso quelle margherite, o perchè non chieda aiuto alla guardia cittadina che si trova a cinquanta metri dalla sua posizione, e invece disperato attenda l’arrivo dell’avatar che tutto può risolvere (The Elder Scrolls Online è esempio perfetto in tal senso).

ai confini della realtà maple street

Un esempio classico di “monster of the week” tratto da Ai Confini della Realtà, nell’episodio I Mostri di Maple Street.

Inoltre, le quest secondarie sono tendenzialmente “chiuse”. X-Files, negli anni ’90, ha coniato il termine “monster of the week”, peraltro già sperimentato con successo, seppur non teorizzato con questo nome, in Ai Confini della Realtà (The Twilight Zone) negli anni ’60. Con questa frase ci si riferiva a episodi che non portavano in avanti la trama portante della serie, ma prendevano in esempio un singolo caso paranormale da risolvere: si svolgevano in 45 minuti al termine dei quali la faccenda era conclusa, nel bene o nel male. La degenerazione di questo concetto riempiva stagioni televisive intere di puntate “filler”, in cui si cercava disperatamente di portare avanti la longevità del prodotto senza spendersi granchè su un arco di trama maggiore rispetto a quello delle singole puntate. Non è un caso se le moderne serie televisive, aventi budget e know-how decisamente superiori rispetto ad una volta, tendono ad evitare come la peste un simile modello e invece puntino a completare una storia dall’inizio alla fine. Si veda a tal proposito Westworld (di cui si è parlato proprio su MMO.it) oppure Game of Thrones, Breaking Bad e Stranger Things, rispetto ai vari CSI dell’inizio dei 2000.

Proprio al modello “monster of the week” si ispirano le quest secondarie tradizionali. Quest(e) aprono e chiudono una vicenda che poi non avrà alcuna influenza sulla trama principale. Essa serve per dare al giocatore qualcosa di diverso da fare e per potenziarlo; per distrarlo e dargli del contenuto che ha già visto centinaia di altre volte ma che è lo stesso disposto a fare, vuoi per necessità, vuoi per mania di completamento o per l’innato piacere che si prova a vedere la barra dell’esperienza riempirsi e le statistiche salire.

Lo stesso modo di acquisizione delle quest secondarie è desueto. Da molti anni, lo standard si ripete sempre uguale: arrivato in un luogo nuovo, il nostro avatar parla con svariate persone, ciascuna delle quali dà a lui un compito, o comunque acquisisce la consapevolezza di dover fare qualcosa attraverso una lettera, un indizio, un avviso in bacheca o altro metodo. Questo comporta quella che andrebbe chiamata “sindrome da quest log pieno”, nella misura in cui ad ogni nuova regione corrisponde uno riempirsi del proprio diario con tutta una serie di compiti da svolgere. E se il giocatore novizio è sopraffatto (“overwhelmed”) dalla quantità, quello esperto lo è dalla tediosità, perchè si trova davanti, ancora una volta, ad una lista della spesa di cose da fare che, una dopo l’altra, dovrà portare meccanicamente a termine quasi staccando il cervello.

 

The Elder Scrolls Online quest 2

Non è raro sentirsi sopraffatti di fronte alla quantità di icone e cose da fare in The Elder Scrolls Online.

Ricapitolando, i problemi attuali delle quest secondarie possono così riassumersi:

  • Eccessiva ripetitività
  • Eccessiva tediosità
  • Ridotto interesse dovuto allo svilupparsi di una mini-storia chiusa in se stessa e autoconclusiva
  • Scarsa o nulla influenza sulla trama principale
  • Scarsa o nulla difficoltà nel compimento dell’impresa (low-risk, low-reward)
  • Sindrome da quest log pieno per esperti e neofiti allo stesso modo

 

Si potrebbe insomma dire che il modello di quest tradizionale, che prima ancora dei MUD ci accompagna nel mondo dei videogiochi, è stantio e vecchio, incapace di evolversi a fronte dell’evoluzione di tutto il resto.

Una visione così pessimistica dell’esperienza ludica generale di questi anni è però mitigata da alcuni esempi positivi che ultimamente si sono fatti strada nell’industria, sia per quanto riguarda il comparto singleplayer, sia per ciò che concerne il multiplayer.

 

… è sufficiente che i buoni non facciano nulla…

Storicamente, la prima strada tentata per dare un’alternativa alle quest fu quella del grinding.
Oggi ancora onnipresente nei prodotti orientali, il grinding consiste nella ripetizione meccanica della stessa azione, come l’uccisione reiterata di mostri o nemici: non per un qualche obiettivo o per un bene superiore, ma semplicemente perchè sono lì, sono cattivi, danno esperienza, droppano item e vanno massacrati.

Il grinding selvaggio modifica di importanza i sei problemi citati prima, ma non ne risolve nessuno. La ripetitività e la tediosità vengono ulteriormente acuite, ma almeno si taglia alla radice il problema del quest log pieno e della storia blanda autoconclusiva. Col grinding non si pone neppure la questione della scarsa influenza sulla trama principale, e il giocatore accetta di buon grado il meccanismo di low-risk low-reward tipico dell’uccisione in catena di montaggio di mob in quantità elevate.

Per queste motivazioni, il grinding non può essere ritenuto la soluzione a questo problema: ne rappresenta anzi una degenerazione e dovrebbe essere condannato come retaggio storico di un periodo che non aveva il budget e la tecnologia per puntare a qualcosa di meglio.

 

Black Desert

In Black Desert Online, come da tradizione orientale, non solo si può, ma si DEVE grindare.

La seconda strada tentata è decisamente più interessante. A partire dal decennio 2010, alcuni prodotti hanno iniziato a considerare il mondo di gioco come qualcosa di più vivo rispetto al passato, dove, salvo eccezioni prettamente PvP (Dark Age of Camelot) o sandbox (Ultima Online), non era altro che un contorno per giustificare ciò che dentro questo mondo succedeva. Poco importava, insomma, se ci si trovasse davanti a vulcani attivi e mari di lava o colline verdeggianti e cascate idilliache: da una parte si combattevano elementali di fuoco, dall’altra elementali di terra. Sarebbe come dire che tra Mordor e La Contea tutto sommato i pericoli sono gli stessi, o meglio, hanno la stessa difficoltà, perchè se è vero che l’elementale di terra è meno forte di quello di fuoco, è altrettanto vero che gli Hobbit a casa loro sono di livello inferiore rispetto a quelli che hanno esperito il mondo fino a Mordor. Quando Frodo e Sam iniziano il loro cammino sono a livello 1; quando lo portano a compimento sono a livello 60 – eppure nella grande letteratura le difficoltà sono di ordine crescente, anche se è cresciuta l’abilità di chi le affronta: nel videogioco, invece, si può addirittura arrivare al contrario, cioè a situazioni in cui è più difficile affrontare i banditi a livello 10 piuttosto che i Prìncipi del male a livello 60.

Malgrado questo problema di difficoltà e progressione rimanga, alcuni prodotti coraggiosi come RIFT e soprattutto Guild Wars 2 hanno iniziato a porre nelle loro mappe degli eventi dinamici che sostituivano le quest. In poche parole, ogni zona del mondo dava origine autonomamente ad accadimenti diversi ai quali il giocatore poteva partecipare o meno. Se avesse partecipato avrebbe ottenuto delle ricompense in base al suo livello di coinvolgimento; in caso contrario l’evento si sarebbe concluso casualmente, in base a come il computer avesse deciso, e ne sarebbe scaturito un altro, conseguenza del primo.

La ricompensa per il completamento di un dynamic event in Guild Wars 2.

Molto più dinamici e coinvolgenti di un mero “ammazza 10 lupi”, gli eventi dinamici restano comunque ripetitivi e tediosi perchè si ripetono all’infinito, ma risolvono il quest log pieno e offrono una miglioria del problema dell’autoconclusione, perchè almeno fanno parte di un ciclo che interessa un’intera mappa e non un piccolo insignificante NPC che ha bisogno di avere quel branco di lupi eliminato. Inoltre, il giocatore li accetta implicitamente partecipandovi, spesso trovandoli a caso disseminati per il mondo, venendo in tal modo incentivata l’esplorazione e non il meccanismo “parla-accetta la quest” di cui sopra.

Oggi, questa seconda via è spesso miscelata col passato: quest tradizionali ed eventi dinamici si fondono negli MMO di maggior successo del presente, come Final Fantasy XIV: A Realm Reborn.

Ma una terza, innovativa strada sta forse iniziando a svilupparsi.

Perchè essa venga realizzata alla perfezione è necessario un connubio di elementi: in primis deve esserci un open world (oggetto di uno speciale di Plinious); poi deve esserci una creatività superiore da parte degli sceneggiatori; infine deve esserci l’idea di quest come avventura con una sua dignità e non come sottoprodotto della trama principale. C’è un unico esempio, veramente virtuoso, di essa: The Witcher 3: Wild Hunt. Per quanto basata su un prodotto a giocatore singolo, non c’è ragione per cui taluni avanzamenti non possano essere anche presi e integrati in progetti MMO.

 

… anche se basterebbe comportarsi “da europei” più che “da americani”

In The Witcher 3 l’open world è disseminato di località, liberamente esplorabili, entro le quali possono nascondersi avventure o eventi più o meno rapidi nella loro risoluzione: dentro una cava può esserci un avventuriero da salvare; dentro un villaggio può essersi stabilito un covo di banditi. Non esiste un NPC che, approcciando il giocatore, gli dica che nel tale villaggio hanno preso dimora dei tagliagole: sarà egli stesso, girando per il mondo, a trovarlo e ad accorgersene. Le avventure di questo tipo non vengono neppure segnate nel quest log, ma solo nella mappa, sotto diciture come “caverna” o “accampamento di banditi”. Il giocatore sa che, recandosi lì, potrà ottenere tutto ciò che si ottiene da una quest tradizionale e stantia del passato, ma senza nessuna delle sue tipiche seccature.

Questo potrebbe parere un grinding mascherato, e forse in parte lo è, ma viene unito ad un comparto di side-quest, sebbene molto più tradizionali, dal valore inestimabile.

In ossequio al principio “pochi ma buoni”, The Witcher 3 propone una quantità di quest secondarie propriamente dette numerose ma non eccessive, tagliando su tutto ciò che può ricordare un “ammazza 10 lupi”. Non solo: queste sono spesso collegate alla trama principale, nel senso che per proseguire nella trama principale è necessario completare alcune quest che tipicamente sarebbero definibili come secondarie. Inutile dire che le scelte compiute in esse sono profondamente influenti sulla trama, risolvendo quindi il principale dei problemi di cui si è parlato sinora.

 

Il witcher è di una bellezza paesaggistica incredibile, il degno contorno a imprese altrettanto ben realizzate

Il Witcher 3 è di una bellezza paesaggistica incredibile, il degno contorno a imprese altrettanto ben realizzate.

Tutte le quest secondarie sono sagaci, spesso lunghe e interessanti. Alcune davvero riprendono il significato originale, Arturiano, di “quest” come impresa o ricerca. Talaltre, con sapiente ironia, rompono la quarta parete e intrattengono il giocatore con similitudini, analogie e allegorie della vita reale. Un esempio su tutti [spoiler minore di seguito] è la quest “Burocrazia” nella seconda espansione, Blood and Wine, in cui il compito di Geralt di Rivia è ritirare dei soldi da un conto in banca che ha fruttato interesse. È il ritorno, perfetto nella sua realizzazione, a ciò che si diceva all’inizio: la quest di tutti i giorni, il comprare il latte.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare che la struttura di talune quest in The Witcher 3 è troppo simile: in fondo, molto spesso si tratta di svolgere un lavoro di investigazione cercando indizi e carpendo segreti, fino ad un eventuale scontro finale. Questa struttura, tuttavia, si rinviene soprattutto nei cosiddetti Contratti del Witcher, un tipo di quest apposito slegato anche a livello lessicale dalla dicitura “quest secondaria”. In essi, al protagonista è chiesto di indagare e di risolvere problemi sovrannaturali che agitano determinate comunità. L’idea di seguire il mostro, raggiungerne la tana ed affrontarlo in una storiella breve e autoconclusiva ricalca perfettamente l’archetipo del “monster of the week”, ma è opzionale e comunque fa da sfondo a tutta una serie di quest secondarie che nulla hanno in comune con le tradizionali quest secondarie dei nostri tempi. Non è altro che una feature in più, che non inficia il discorso fatto finora e anzi dimostra la ricchezza di contenuti offerti da CD Projekt Red.

È quindi senz’altro giusto dire che The Witcher 3, per gli standard odierni e per le innovazioni che porta, a partire dall’open world brillantemente costruito fino, appunto, alla realizzazione pressochè ineccepibile delle quest secondarie e della trama principale, è l’esempio migliore di innovazione lato-quest: la pietra miliare dinnanzi alla quale non si può far altro che trarre ispirazione rendendosi conto della perfezione artistica del prodotto, che è prodotto così come può esserlo la ristampa di un libro di alta letteratura – uno dei pochi esempi in cui le dinamiche commerciali non determinano il contenuto di un’opera ma è il contenuto dell’opera che determina le dinamiche commerciali, ma positivamente anche dal punto di vista economico: non a caso The Witcher 3 ha guadagnato quel che ha guadagnato, con oltre 10 milioni di copie vendute.

 

Vaghe speranze per gli MMO del domani

Precedentemente si è in parte criticato il sistema attuale di questing degli MMO, anche se sempre più ibrido e dinamico. L’ultima parte di questo scritto vuole offrire qualche augurio di progresso anche in tale genere.

Bisogna innanzitutto distinguere due categorie di MMO, secondo la tradizionale dicotomia tra theme park e sandbox (a cui Plinious dedicherà presto un altro speciale).

Nei theme park, come i già citati WoW, GW2, SW:TOR, ESO o Aion, oggi si tende a dare al giocatore una veste di protagonista. Questo vuol dire che il personaggio vive un’avventura personale molto simile a quella che potrebbe vivere in un singleplayer. Il fatto che egli si trovi a condividere un mondo con altre centinaia di persone, cosa che distingue il GDR dal MMORPG, è a livello di trama un qualcosa di collaterale, perchè ognuno vive la Sua avventura, non quella di un altro, e nulla gli importa se un altro giocatore vive la stessa sua o compie scelte diverse. In questo senso, SW:TOR è l’esempio perfetto. Si tratta insomma di una struttura quasi da “singleplayer massivo”, in cui gli altri giocatori servono a livello di trama forse solo quando si tratta di affrontare e uccidere un mostro troppo potente o trovare un oggetto in un dungeon che, per definizione, non è affrontabile da soli.

Per questa categoria di giochi, The Witcher 3 e più in generale il terzo modello di quest system può essere preso e inserito praticamente di peso.

L’obiettivo sarà dunque quello di avere un open world che favorisce l’esplorazione e l’affrontare le avventure “così come si presentano”, evitando la sindrome da quest log pieno. Sarà quello di raccontare la trama principale anche attraverso snodi che si verificano solo in quest secondarie, e in tutte le quest secondarie dovrà essere riposta una cura tale per cui non sarà necessario averne a centinaia, ma ne basteranno poche, abbastanza longeve e immersive.

Per quel che riguarda, invece, la categoria di MMO che si rifà al concetto di sandbox, come EVE Online, Mortal Online, ARK o il compianto Star Wars Galaxies, la questione è molto più complessa. Essi stessi per la loro natura affrontano in maniera completamente diversa il concetto di “quest”, tanto che a volte (mi viene in mente Anarchy Online come esempio classico) esse vengono perfino generate casualmente. È chiaro che in questi prodotti non solo il levelling non viene quasi mai gestito come nei theme park, preferendo spesso un sistema di skill e punti e non di livelli, ma la stessa quest non ha praticamente alcun significato. Questo avviene perchè nei sandbox il personaggio giocante è uno dei tanti: non è il protagonista. Non esiste neppure, in realtà, una trama principale. Ognuno è alla pari, cittadino di un mondo virtuale che ha regole decise dai giocatori, salvo alcune limitazioni che per forza di cose debbono esserci per evitare l’anarchia totale. In un simile sistema di libertà, la quest è inutile.

 

ARK casino italiano

In un vero sandbox come ARK: Survival Evolved, gli obiettivi ce li poniamo noi. In questo specifico caso, la “missione” era minare il metallo facendo più casino possibile.

Non solo: si pensi a prodotti come DayZ, Life is Feudal o anche Minecraft. In essi sono gli stessi giocatori ad autocrearsi delle quest da fare, perchè il gioco pone nella situazione di dover costantemente risolvere dei problemi per migliorare la propria condizione. Trovare un rotore nuovo per l’elicottero; terraformare il terreno e tagliare gli alberi intorno all’insediamento per fornire legname; andare nel Nether per ottenere la glowstone. Non esiste quest log in cui compare, esplicitamente, l’obiettivo. È il giocatore che se lo pone da sé, perchè sa che facendo ciò ne ricaverà un vantaggio.

È questo, certamente, l’esempio più alto del videogiocare e del concetto di quest, perchè è anche il più libero.

Malgrado ciò, è innegabile l’efficacia e brillantezza di certi prodotti theme park e di un’evoluzione costante del concetto di quest che anche in essi si è sviluppato. La perfezione da questo punto di vista, però, è ancora molto lontana: c’è pertanto da augurarsi, seguendo quelle linee guida evolutive esplicitate in questo speciale, che il progresso non si arresti, e possa legittimamente essere tratto anche da esempi non massivi (come The Witcher 3) che tuttavia portano innovazioni innegabili e una conoscenza del medium videoludico atipica nella sua grandezza artistica.

 

 

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